l'Italcementi di Civitavecchia, in data 4 febbraio 1959, fa recapitare a 70 suoi operai una lettera di licenziamento motivando tale azione con il calo del 50% delle vendite.
Tutto ciò avveniva violando l'accordo interconfederale sui licenziamenti collettivi ed in contrapposizione al fatto che proprio in quel periodo gli operai effettuavano molte ore di straordinario.

La commissione interna dichiarava di conseguenza l'occupazione della fabbrica che iniziò il giorno 6 febbraio. Un protagonista di questa lotta, Giovanni Lancia, segretario della commissione interna Italcementi e membro della segreteria della camera del lavoro, così ricorda gli avvenimenti del 1959.

 

Ero alla camera del lavoro, quando vidi arrivare molti di quegli operai con la lettera di licenziamento fra le mani. Capii subito dai nominativi che quei licenziamenti erano di natura politica, in quanto erano per lo più indirizzati ad attivisti del partito comunista o sindacalisti.

Parlando con il direttore ebbi subito la sensazione che volesse farmi credere che le direttive venivano da Bergamo e che se non avesse eseguito quelle istruzioni avrebbe rischiato lui stesso il posto. Per tutta risposta aspettai il momento della pausa e informai tutti gli operai, licenziati e non, della situazione.

 
 

Constatai subito che esisteva fra tutti una grande solidarietà immediatamente, si decise di occupare la fabbrica e quindi di fare uscire dai cancelli il direttore e gli impiegati.

Durante il primo giorno di occupazione fummo raggiunti da dirigenti del partito comunista e di quello socialista. Mi fu comunicato dal segretario della Camera del Lavoro, Claudio Cianca, che ero stato denunciato per aver violato lo spazio della cementeria, tuttavia reputavo più importante la sorte di tutti gli operai e con l'aiuto di un sacerdote riuscii a portare all'interno della fabbrica il vescovo di Civitavecchia.

La nostra azione ricevette molti consensi e vennero a trovarci numerose delegazioni politiche e sindacali, anche il segretario generale della CGIL Fernando Santi venne a tenere un discorso all'interno della fabbrica.

L'episodio più toccante fu la visita di moltissimi operai delle cementerie Pesenti che appena saputo della nostra situazione si presentarono con due pulman per manifestarci il loro appoggio. Ricevemmo manifestazioni di solidarietà anche da studenti e professori dell'Università di Roma, tutto ciò contribuiva a mantenere alto il nostro morale anche se effettivamente la nostra situazione non migliorava di molto, dall'esterno ci facevano pervenire cibo in quantità e riuscivamo quindi a sopportare meglio i disagi.

Aiutato da Cianca riuscii a recarmi alla Camera del Lavoro di Roma per tenere un discorso. Ero riuscito ad andare alla Capitale uscendo dalla fabbrica di nascosto e scavalcando un muro. Per rientrare in fabbrica usai una scala esterna costruita per l'occasione e per evitare che la polizia mi arrestasse al mio rientro.

Dopo circa 12 giorni di occupazione fummo avvertiti che il giorno dopo saremmo stati oggetto di intervento da parte delle forze di polizia e cercammo di organizzarci. Alle quattro del mattino arrivarono i carabinieri e celerini i quali muovendosi maldestramente all'interno della fabbrica ci svegliarono tutti.

Fui condotto alla caserma dei carabinieri, venni però rilasciato alcune ore più tardi e mi recai in corso Marconi dove allora risiedeva la Camera del Lavoro.

La cittadinanza era intervenuta contro la polizia e vi erano stati disordini in Via Bernini.La denuncia contro di me non ebbe effetto in quanto avrebbe dovuto coinvolgere anche il vescovo e il segretario aggiunto della CGIL.
Il 24 febbraio il Ministro del Lavoro convocò Italcementi e lavoratori per riprendere le trattative. Fu necessario sgomberare la fabbrica ma ottenemmo la trasformazione da licenziamento a pensionamento per i lavoratori più anziani ed i contributi INPS fino a 60 anni di età e le giuste liquidazioni per tutti.

La nostra azione oltre a risolvere i problemi di quei lavoratori contribuì alla abolizione del licenziamenti illegali.