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Per trenta anni ho abitato in
una delle basse e lunghe casette collocate subito a monte dello stabilimento;
mio padre è stato infatti un operaio della Italcementi e nell'anno
1946 la Commissione alloggi gli assegnò una della abitazioni, appena
ricostruite, relative al sesto lotto del poligono del genio.
Ancora vivo è in me il
ricordo del richiamo lacerante, ma non sgradevole, della sirena della
fabbrica che, non solo scandiva i turni lavorativi di mio padre e degli
altri 700 operai che vi lavoravano in quel periodo, ma condizionava la
vita di tutte le famiglie che abitavano nella zona.
A distanza di tanti anni, mi
sembrava ancora di sentire quella sirena che suonava, nell'arco di una
giornata, a venti minuti alle sei, alla sei, alle sette e dieci, a mezzogiorno,
alle tredici e dieci, alle tredici e trenta, alle quattordici, alle diciassette,
a venti minuti alle ventidue, alle ventidue.
Indicazioni, queste, che possono
sembrare sterili a chi non ha mai dovuto collegare il suono di quella
sirena alle sue attività giornaliere, ma piccoli o grandi che fossimo,
quel suono vivo e prolungato, ovunque ci trovassimo, ci faceva scattare
tutti come molle.
Dopo aver vissuto per tanti anni
all'ombra delle ciminiere, e non in senso figurato, considerata l'impalpabile
polvere di cemento che continuamente ci pioveva a dosso, è con
viva emozione che mi accingo a descrivere le fasi collegate all'impianto
e alle prime tecniche produttive della cementeria di Civitavecchia, anche
perché i membri della mia famiglia, per tre generazioni, con pesante
e tenace lavoro, costellato da dure lotte sindacali, insieme a molti altri
operai, hanno dato un contributo determinante allo sviluppo di questa
grande azienda industriale.
Dagli inizi di questo secolo,
sino alla fine degli anni quaranta, mio nonno Mariano, chiamato "nano"
ma in realtà alto un metro e ottantasette, dopo aver appreso il
"mestieraccio" alle miniere della natia Allumiere, preparò
la polvere e le mine che servirono per aprire le prime cave di pietra
da cemento.
Dopo di lui suo figlio, cioè
mio padre Emilio, da tutti chiamato Mimmo, muratore specializzato nel
montaggio delle camicie refrattarie dei forni rotanti, e molti miei zii
e cugini lavorarono nella cementeria, anzi "ar cemento", come
si diceva una volta.
A parte la "puzza d'ova
fraciche", la polvere finissima che cadeva e il suono delle "sirenette"
(spie di segnalazione) che si sentivano in continuazione, rammento anche
un particolare suono melodioso che veniva dalla fabbrica. Per uno straordinario
fenomeno acustico, durante la primavera, i molini che macinavano il clincher
producevano una dolce nenia malinconica, che alle mie orecchie di bambino,
appariva come una vera sinfonia di note armoniose che si spandevano nell'aria
portate dalla fresca brezza marina.
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